
Negli ultimi anni, il dibattito sulla sostenibilità e la gestione delle licenze del software libero e a sorgente aperto (FOSS, Free and Open Source Software) è diventato sempre più centrale nel mondo dell’informatica. Il modello originario di software libero, come definito da Bruce Perens, uno dei pionieri e autore della definizione di “sorgente aperto”, si trova oggi a fronteggiare sfide inedite. Se da un lato il software libero costituisce la base della maggior parte dei servizi digitali moderni (alcune stime indicano che il 94% di Internet dipende da soluzioni FOSS), dall’altro è evidente come le licenze tradizionali non siano più sempre efficaci nel garantire una distribuzione equa dei benefici e nel tutelare la libertà degli utenti e degli sviluppatori.
Le licenze storiche, come la Licenza Pubblica Generale GNU (GPL, General Public License) e la Licenza MIT (Massachusetts Institute of Technology), hanno permesso la crescita esponenziale del software libero, ma oggi si scontrano con fenomeni come la chiusura del codice sorgente da parte di alcune aziende (ad esempio Red Hat con CentOS), l’uso di software libero come base per applicazioni proprietarie (come avviene su sistemi iOS e Android), e l’abuso della terminologia “open” da parte di grandi realtà che in realtà non rispettano i principi fondanti del movimento.
Le problematiche del modello attuale
Le aziende tecnologiche hanno imparato a sfruttare le lacune delle licenze FOSS, adottando strategie che consentono di trarre profitto dal software libero senza restituire valore alla comunità. Tra i principali problemi riscontrati:
- Codice sorgente non pienamente accessibile: alcune aziende, come Red Hat, hanno introdotto vincoli o reso il codice sorgente accessibile solo a pagamento, limitando la trasparenza e la libertà di utilizzo.
- Applicazioni chiuse basate su software libero: molte applicazioni per dispositivi mobili si basano su componenti FOSS ma vengono distribuite come prodotti proprietari, privando la comunità dei benefici delle modifiche apportate.
- Ambiguità nell’uso dell’intelligenza artificiale: la gestione dei dati di addestramento e la definizione dei diritti sugli output generati da sistemi di intelligenza artificiale restano zone grigie non coperte dalle licenze tradizionali.
- Abuso della terminologia “open”: aziende come Meta promuovono prodotti come LLaMA spacciandoli per open source, pur mantenendo restrizioni che violano i principi fondamentali del software libero.
Anche se le controversie legali, come la causa tra Sebastian Steck e AVM e la sentenza contro Orange S.A., dimostrano che le licenze FOSS tradizionali continuano a garantire i diritti degli sviluppatori e a far rispettare le regole, anche nei confronti di grandi aziende. Nel caso di Sebastian Steck, la disputa ha confermato che le licenze copyleft, come la LGPL, tutelano il diritto degli utenti di modificare e reinstallare software su dispositivi acquistati, costringendo AVM a fornire il codice sorgente completo del firmware del suo router FRITZ!Box. La sentenza contro Orange S.A., invece, ha ribadito l’obbligo per le aziende di rispettare le condizioni delle licenze GPL, dopo che Orange aveva utilizzato software open-source senza fornire il codice sorgente. Tuttavia, la crescente pressione commerciale e il tentativo delle aziende di sfruttare le ambiguità nelle licenze richiedono un continuo aggiornamento degli strumenti giuridici e delle strategie di difesa per preservare i principi fondamentali del software libero.
La proposta Post-Open di Bruce Perens
Per rispondere a queste criticità, Bruce Perens ha presentato nel marzo 2024 la prima bozza della licenza Post-Open, un modello ibrido tra licenza e contratto pensato per aggiornare le regole del software libero all’epoca attuale. L’obiettivo è duplice: tutelare la libertà degli utenti e garantire una fonte di reddito sostenibile agli sviluppatori.
Principi fondamentali della licenza Post-Open
- Gratuità per individui e organizzazioni senza scopo di lucro: l’utilizzo del software resta libero per utenti privati e realtà non profit.
- Pagamento per grandi aziende: le imprese con ricavi superiori a 5 milioni di euro annui e quelle che integrano software Post-Open in prodotti commerciali devono versare una quota annuale, calcolata come una percentuale (1% o meno) del fatturato derivante dall’uso del software.
- Ridistribuzione dei fondi: i fondi raccolti vengono reinvestiti nello sviluppo di software libero, sostenendo economicamente i progetti e gli sviluppatori.
- Clausole sulla distribuzione dei derivati e gestione dei ricavi: la licenza prevede obblighi di trasparenza sulla distribuzione delle opere derivate e sulla ripartizione dei ricavi.
- Revoca dei diritti in caso di violazione: la licenza può essere revocata in caso di mancato rispetto delle condizioni, con la possibilità di interrompere l’uso del software da parte delle aziende inadempienti.
Funzionamento pratico e criticità
La licenza Post-Open prevede la presenza di file contrattuali allegati al software, la rendicontazione annuale da parte delle aziende e la definizione di criteri per la distribuzione dei fondi raccolti. Tuttavia, numerosi aspetti pratici restano da chiarire, tra cui:
- Chi raccoglie e distribuisce i fondi? Non è ancora definito se la gestione avverrà tramite un’unica organizzazione centrale o se ogni progetto dovrà organizzarsi autonomamente.
- Come si calcolano le quote per gli sviluppatori? La ripartizione dei fondi tra i vari contributori (sviluppatori principali, collaboratori, manutentori) è un nodo complesso e ancora irrisolto.
- Le aziende saranno disposte a pagare? Non è scontato che le imprese, abituate a utilizzare software libero gratuitamente, accettino di versare una quota, soprattutto in assenza di vantaggi immediati.
- Rischio di erosione delle libertà: secondo la Free Software Foundation (FSF, Fondazione per il Software Libero), il modello Post-Open rischia di mettere il denaro davanti alla libertà, riducendo il numero di utenti con pieno accesso al codice sorgente e ai diritti fondamentali del software libero.
Analisi e reazioni della comunità
La proposta di Bruce Perens ha suscitato un acceso dibattito nella comunità FOSS. Da un lato, molti riconoscono la necessità di trovare nuove soluzioni per garantire la sostenibilità economica dei progetti, visto che numerosi software fondamentali sono sotto-manutenuti e spesso poco usabili a causa della mancanza di risorse. Dall’altro, emergono forti perplessità sulla reale efficacia del modello Post-Open.
La licenza Post-Open ha sollevato critiche per il suo approccio alla gestione dei diritti nel software libero. Secondo Krzysztof Siewicz della Free Software Foundation (FSF), sembra più orientata a revocare i diritti in caso di violazione, generando incertezza anziché definire chiaramente le libertà degli utenti.
Un aspetto controverso è la possibilità di “comprare” l’esenzione dalle licenze libere, rischiando di limitare l’accesso al codice sorgente e ridurre la condivisione. Inoltre, la sua implementazione introduce complessità burocratiche che possono distogliere risorse dallo sviluppo del software.
La FSF, da sempre a difesa del software libero, considera la GPL un pilastro per garantire libertà d’uso e impedire trasformazioni in software proprietario. Pur comprendendo la necessità di nuovi modelli per la sostenibilità economica, esprime cautela verso soluzioni che antepongono il profitto alla trasparenza e alla collaborazione.
Maggiori informazioni sulle licenze e sulle iniziative della FSF sono disponibili sul sito ufficiale della fondazione.
Fonte: https://perens.com/2024/03/08/post-open-license-first-draft/
Fonte: https://fossforce.com/2025/05/is-bruce-perens-post-open-license-necessary/
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